GIANCARLO CAPOZZOLI


ROMA. PULCINELLA NON MUORE MAI. NON PUO' MORIRE

"...ho lavorato molto in questo periodo di emergenza covid... in questo periodo di chiusura forzata.
Alla fine ho cercato di rappresentare a modo mio, la sofferenza e la solitudine di questi mesi...
E' stato duro per tutti.", mi dice il maestro Cuono Gaglione, mentre mi fa accomodare nel soggiorno accogliente di casa sua.
La stanza, in una casa della periferia nord est della Capitale, si affaccia su un ampio panorama di Roma.
Riesco a vedere chiaramente la cupola di San Pietro, in lontananza. "E' bello...", mi dice come per interrompermi mentre mi mostra il suo dipinto di questa vista, con l'aggiunta della sua fantasia e
dei suoi colori, di un'immagine a cui è stato aggiunto, cioè, e tolto, allo stesso tempo, qualcosa di più e di oltre rispetto al panorama che si apre, già ampio.
Il maestro è come il suo soggiorno.
Accogliente e antico.

Pieno di oggetti, ricordi, ritagli, spartiti, fotografie, bozze, quadri, ovali, monete. E' ordinato e pulito nel parlare.
Ha questo modo antico di esporre i suoi pensieri, senza fretta, di raccontare aneddoti della sua vita da cui attingere sempre qualche dettaglio segnato su un foglio stropicciato e conservato con cura, o nell'incavo dei dettagli di monete riposte tra le altre.
E' attento e preciso.
La sua napoletanità mi piace e mi riporta alle mie origini.
Lui che ha vissuto tra le Sicilia e Roma e l'estero, parla ancora con questa forte cadenza, tipica partenopea.
Mi dice di Napoli e di Maradona, e io lo ascolto. Mentre parla mi ricorda il personaggio serio e sereno di un film di Luciano De Crescenzo, quel nonno che dice del
 cavalluccio rosso da comprare per il nipotino e il furto quasi subito: mi ricorda quel ricominciare sempre daccapo, sempre di nuovo, come se qualcuno fosse sopraggiunto a chiedere cosa sia successo.
E lui, sornione, riprende la storia daccapo, aggiungendo nuovi particolari alla scena. C'è un pubblico immaginario nella stanza a sentirlo raccontare, oltre me.
E tutti ascoltiamo appassionati e in silenzio il suo dire pacato, di immagini e di parole.
Parla e mi ricorda Moustache, uno dei protagonisti di un film di Billy Wilder, pronto a passare ad un nuovo quadro, ad un'altra storia.
Che è poi il racconto di una vita, della sua vita, della vita di questo maestro della scuola napoletana. Di Acerra, esattamente. Di un piccolo borgo alle porte di Napoli. I quadri che mi mostra, a me poco esperto di arte, raccontano degli scorci nascosti e di colori veri e immaginati della sua realtà e della sua fantasia.
Sono opere che parlano della sua realtà, di una realtà intima, contadina popolare. Una realtà povera e dignitosa, autentica e concreta.
Ma una realtà anche irreale e fantastica come le tinte forti dei suoi colori.
Io non interrompo il suo parlare continuo.
E' un piacere ascoltare la sua storia, che come detto è l'accadimento di un'epoca.
Mentre parla del suo Pulcinella è il suo stesso volto, al mio sguardo, a prendere le fattezze di questa maschera della tradizione
napoletana.
Gli assomiglia davvero un po'.
Già, Pulcinella. E' ovunque.
Tra le stradine e la cupola del paese dove è nato o tra i volti dei suoi compaesani, o tra i vicoli dirupati di questa cittadina.
L'identificazione con la maschera è totale e totalizzante: è la necessità di marcare le proprie origini, la propria identità.
Ma mi sembra anche la necessità di tentare di dire, indossando una maschera, la verità. Una verità d'autore.

In questo senso, la pittura del maestro Gaglione, mi sembra possa porsi come un ulteriore argine contro una certa idea di globalizzazione.
Quella globalizzazione che nell'appiattire le distanze, piuttosto che avvicinare, allontana, appiattisce appunto. Rende tutto simile. Omologa. Argine da intendere come un ulteriore, se non ultimo, tentativo di ripensare ancora una volta alle proprie origini. Allo spirito delle proprie origini. Un ripensamento alla realtà attraverso lo spirito tragico, mistico e irriverente della maschera di Pulcinella, la più emblematica delle maschere della meridionalità.
E' il tentativo estremo di tenere fede, oltre una globalizzazione che vuol indurre a non pensare, a riflessioni, ricordi pensieri e tradizioni dello spirito locale, che rischiano, altrimenti, di andare perduti.
Alla fin fine la maschera di Pulcinella è questo: è il povero diavolo che abita un paradiso, la città di Napoli, così ben descritta da Benedetto Croce, che questo ha scritto deputando la città partenopea a suo luogo ideale di vita e di studi e ricerche.

Pulcinella, quel diavolo di Pulcinella, è dunque la voce narrante di questa città, di questo meridione che rischia di perder se stesso, perdendo le sue origini.
Incarna la coscienza del Sud.

Ma quale sud, quale coscienza ci si potrebbe chiedere. Quella coscienza, quella consapevolezza, quella irriverenza che Massimo Troisi, ha commentato con la sua personale interpretazione della maschera in un film di un altro grande maestro, Ettore Scola,"...i padroni vanno tenuti sempre a bada...". Pulcinella/Troisi alla ricerca di un padrone, per tenerlo a bada.

In questo senso è dunque la coscienza di un rapporto tra potere e verità che va declinato ogni volta, di nuovo.
Per smascherarne gli abusi.
La maschera di Pulcinella, incarnazione della commedia dell'arte, è lo spirito del meridione che si congiunge con quella tradizione teatrale moderna incarnata dal fool shakesperiano.
Il fool del Re Lear, ad esempio, che incarna esattamente questo rapporto tra verità e potere: è, incarna, inscena quella verità che il vecchio re non vuol sentirsi più dire.
La verità-follia è il diametralmente opposto delle parole menzognere che le persone sane dicono, sapendo di mentire.
E' la verità che non sanno dire.

Pulcinella allora non è più solo una maschera ma è un pensiero che si cela in questo metalinguaggio di artifici linguistici e scioglilingua, di escamotages e servitù esibita.

Pulcinella come l'Arlecchino messo in scena da Strehler è questa servitù unita all'arte dell'arrangiarsi dalla fatica del lavoro.
E' lo spirito di un popolo servo ma che si serve di un folle per ribellarsi al potere.
E' la consapevolezza di Pasquino, ignorante per necessità e colto per l'urgenza di battere il potere sul suo stesso campo.
Pulcinella è l'immediatezza dell'amore, è riso e pianto, è la povertà dignitosa di un sud che nella miseria della sua condizione esistenziale, ritrova la nobiltà delle proprie origini, del suo spirito più profondo.
Totò ha incarnato al meglio la maschera di Pulcinella, inscenandone vivacità smorfie espressioni e parole, innanzitutto. E appunto miseria e nobiltà, passione, dedizione cura, furbizia, semplicità.
Immediatezza.
Coscienza e coscienza civile.
In una delle maschere (maschera appunto...) meglio riuscite dell'attore napoletano ognuno ha potuto ritrovare quella nobiltà d'animo, quella nobiltà d'animo e di spirito che le miserevoli condizioni di vita nascondono sotto stracci vecchi e lisi.

Il nascondimento della contemporaneità ha messo in luce ben altri problemi, ben altre questioni. Forse per questa dimenticanza dell'origine, delle origini, che sarebbe necessario riscoprire, ridomandare.
Ritrovare.

Pulcinella è riso e pianto come nei quadri del maestro Cuono Gaglione.
Il suo merito è dunque questo
tenere viva l'intima spiritualità della maschera.
Riso e pianto come in un prezioso racconto che ne fa 
Eduardo De Filippo a colloquio con il regista Franco Zeffirelli.
La maschera della modernità partenopea che si richiama alle maschere del teatro greco antico.
Eduardo De Filippo la indossa, "la maschera può esprimere tanto la risata quanto il pianto", e immediatamente la mezza sola fa scomparire il confine che separa la maschera di Pulcinella da quella di Eduardo.
Non a caso, dunque, uno tra i maggiori cantori di questa meridionalità che qui si sta cercando di restituire e raccontare.
Qui nelle opere del maestro pittore Gaglione.
Che non si limita a rappresentare in maniera stereotipata vizi e virtù della sua gente, della sua popolazione, ma piuttosto li richiama ad uno spirito, ad un ripensamento costante. "...in Paradiso ci vengono pure quelli che si ribellano.
Lì sono tutti uguali.
Non ci sono autorità nè re...", dice Eduardo/Pulcinella in una scena memorabile.
Lui mascherato chiede al Re "...vi siete mascherato?".
E' in questo senso che Pulcinella non muore mai, non può morire. "...voi potete impiccare un corpo", dice ancora Eduardo/Pulcinella, "ma lo spirito di Pulcinella che è l'anima di un popolo, rimane qua. In ogni posto della terra i popoli vogliono essere liberi, felici. Sazi".

Questo è il testamento, il segreto di Pulcinella dunque.
L'intima e ultima verità di una maschera candidata da un comitato di cultori, appassionati e uomini di cultura a bene immateriale dell'UNESCO, in quanto, giustamente, espressione della volontà e dell'interesse delle popolazioni di Napoli e del Meridione, che nella maschera riconoscono il più forte simbolo della loro identità.
"Ogni uomo mente", diceva un poeta. "Ma dategli una maschera e sarà sincero".

 GIANCARLO CAPOZZOLI

L'ESPRESSO del 1/luglio2020 .